Argomento delicato, che merita tutta la nostra attenzione. Si tratta di un estremo atto di amore, penoso e tormentato, una decisione critica, irreversibile, irrimediabile. Una strada a senso unico, che non potrà più essere percorsa in senso inverso. Sarete d’accordo con me che il ricorso all’eutanasia debba essere valutato, soppesato, esaminato con la massima diligenza e meticolosità in quanto, per antonomasia, definitivo.
Non è mia volontà dissuadervi da questa pratica, quando essa rappresenta l’unica possibile soluzione per porre fine alle sofferenze insanabili del vostro amico.
Ma voglio raccontarvi un episodio, che potrebbe da una parte alimentare la vostra confusione, ma dall’altra stimolarvi alla consapevolezza che qualche volta, nonostante le opinioni dei nostri fidati medici veterinari, prendersi un momento in più per riflettere potrebbe fare la differenza.
Un gatto chiamato Lazzaro
Gatto randagio tigrato, di stanza sulle alture di Genova. Robusto e fiero, aveva sempre rifiutato di installarsi tra le mura domestiche di buone persone che quotidianamente gli offrivano di che sfamarsi e abbeverarsi. Ma straordinariamente docile, tanto da accettare di buon grado la somministrazione di pipette antiparassitarie e di entrare nel trasportino per una rapida visita del veterinario a valle. Consentiva la manipolazione, ma rifiutava con decisione ogni tentativo di prelievi ematici, graffiando e mordendo. Aveva forse una decina d’anni quando gli fu diagnosticata probabile IRC, insufficienza renale cronica.
A quel tempo i proprietari non mi conoscevano, né tantomeno conoscevano le potenzialità della medicina complementare. Mi raccontarono di aver provato a cambiargli l’alimentazione con diete per il supporto renale suggerite dal veterinario, ma il micio rifiutava di mangiare, cosicché continuarono con l’alimentazione standard.
Repentino peggioramento
In soli due anni la sua patologia peggiorò decisamente, il suo appetito era diminuito notevolmente e aveva perso molto peso. Vomitava spesso quel poco che mangiava e beveva una quantità industriale di acqua.
Eutanasia per Lazzaro
Un brutto giorno i suoi adottanti si accorsero, mentre attraversava il vialetto diretto alla loro porta, che il gatto sbandava, come fosse ubriaco dissero, e si reggeva a malapena in piedi. Lo accompagnarono dal veterinario che non potè che constatare il pessimo stato dell’animale, e suggerì l’eutanasia. I due anziani coniugi non si sentivano ancora pronti, erano molto affezionati a quel gattone, e decisero di riportarlo a casa.
Un colpo di fortuna per Lazzaro
Un loro vicino era imparentato con un mio cliente che propose loro di contattarmi. Capii subito che i due anziani coniugi si sarebbero trovati in difficoltà a somministrare dei rimedi omeopatici al gatto, così andai sul posto. Conobbi il micio, che in seguito, dati i risvolti, chiamai Lazzaro. Non avevo esami clinici sui quali lavorare, ma aderii alla diagnosi non accertata del veterinario. Anche per me il gatto era affetto da una grave forma di IRC e la situazione era disperata.
L’intuizione
Tornai in studio, ma non ebbi bisogno di consultare la Materia Medica. Fortunatamente disponevo già del rimedio indicato, diversamente sarebbe stato da ordinare e sarebbe arrivato solo il giorno dopo. Presi una monodose di Apocynum Cannabinum, la versai in una siringa con qualche cc d’acqua naturale e tornai sulle alture. Questo rimedio viene spesso definito dai naturopati e dagli omeopati il rimedio della buona morte o della rinascita.
Il gatto era accovacciato a sfinge, visibilmente patito, ma ancora apparentemente presente. Mi augurai che ci fosse ancora un residuo di forza vitale in lui e lentamente, con pazienza, gli somministrai oralmente il contenuto della siringa. Poi andai via, pregando la coppia di tenerlo al riparo e al caldo e di impedirgli per almeno un’ora di provare a mangiare.
L’evoluzione
Il giorno dopo pensai spesso al gatto, ma mi costrinsi a non chiamare i coniugi, forse per timore di una brutta notizia. Mi telefonarono loro la sera del giorno dopo ancora, raccontandomi che quella mattina il micio miagolava e grattava sulla porta per uscire. Loro decisero per lasciarlo andare. Non lo videro per tutto il giorno, ma, poco prima di chiamarmi, il gatto aveva fatto ritorno reclamando del cibo. Non sbandava più e sembrava gli fosse tornato l’appetito. Suggerii di proporgli razioni di cibo minime, ma più frequenti e di tenerlo monitorato.
Lazzaro riprese a vivere.
Certo, non riguadagnò il peso perso, non tornò ad essere il gatto robusto e scattante che era sempre stato, ma risuscitò contro ogni aspettativa. Successivamente supportai la sua avanzata patologia con somministrazioni orali (non gradiva alcuna forma di iniezioni) di Solidago compositum e Ren Suis e guadagnò oltre un anno di vita, regalando alla coppia, e a sè stesso, l’opportunità di restare ancora un po’ di tempo insieme.
Ecco come, questa bella vicenda, ci conferma quanto sia importante non essere frettolosi concedendosi il lusso di un secondo consulto, e, quando la situazione non è tremendamente disperata, anche di un terzo.
E’ bene tenere a mente che le terapie omeopatiche, qualche volta, hanno il potere di donare all’animale un senso di benessere anche nelle situazioni senza via d’uscita e di accompagnarlo nel trapasso senza la necessità di ricorrere all’eutanasia. Ma, qualora essa sia indispensabile, arricchite di calore e dolcezza l’estremo atto d’amore: consentite all’animale di lasciarvi in quella stessa casa che per molti anni è stata la sua dimora, se possibile nel posto a lui più caro. Richiedete l’eutanasia a domicilio, il vostro amico ve ne sarà riconoscente.
A prescindere dal libro pubblicato dalla dott.ssa Daniela Muggia, tanatologa, vi invito semplicemente di ascoltare le sue parole, e quelle del medico veterinario che ha collaborato alla stesura del testo. Se siete interessati ad approfondire la vostra conoscenza sul tema delle cure palliative e dell’accompagnamento empatico, troverete numerosi video sul web.